Mercedes Viale Ferrero
«Con Puccini rien n’est simple»: drammaturgie pittoriche.
Ho discusso di opera lirica con Mercedes Viale Ferrero a partire dal 1989: nel segno di Puccini, col quale Rien n’est simple, soleva dire. Mi segnalò un’intervista torinese rilasciata dal compositore nel 1911 sulla Fanciulla del West, dalla quale ricavai, mettendo a punto l’analisi musicale in relazione alla scena e alla drammaturgia, una lettura in chiave di riferimento intertestuale al teatro wagneriano che oltrepassava la facciata western della partitura. Qualche tempo dopo dovevo occuparmi delle Nozze di Figaro, e siccome nell’atto conclusivo Susanna appare travestita da Contessa e viceversa, mi ero chiesto quanto il pubblico viennese potesse conoscere l’abbigliamento del celebre soprano Nancy Storace, prima Susanna, nella vita di tutti i giorni. La questione non è marginale: tenendo presente che nell’esordio dell’opera la cameriera aveva invitato con enfasi il futuro marito Figaro a considerare il suo cappello («Sì, mio core, or è più bello | sembra fatto inver per te»), la familiarità con l’aspetto della diva poteva ben contribuire a rendere più chiaro alla vista il complicato gioco delle parti previsto da Mozart e Da Ponte mediante un oggetto facilmente riconoscibile in sala. La grande specialista di scenografia afferrò il problema al volo e venne in soccorso confortando la mia ipotesi, dopo avermi fornito le prove che l’abbigliamento della Storace fosse noto, e una lista dettagliata dei suoi cappelli. Diventammo presto amici.
Dal particolare all’universale, dunque, era la ricetta di Mercedes, attestata dalla summa del suo pensiero, un saggio imprescindibile sullo spazio scenico.1 Fu, tra l’altro, una pucciniana di primo piano (un suo scritto fondamentale compare nel primo numero di questa rivista),2 e in quanto tale faceva parte del comitato scientifico del nostro Centro studi e della commissione dell’Edizione nazionale delle opere di Giacomo Puccini fin dall’inizio. Apparteneva al rango più alto degli studiosi, di quei pochi capaci, cioè, di praticare una dimensione ermeneutica raffinatissima partendo dai fondamentali della propria disciplina (che nel suo caso lei stessa aveva contribuito a definire), tale da giovare in misura determinante alla comprensione di un monstrum semiologico come il Melodramma nel suo insieme. Non a caso Mercedes era una tra le colonne di uno straordinario gruppo di specialisti di diverse estrazioni geografiche e materie differenti (italianisti, filologi classici, musicologi, teatrologi, storici ecc.), che dai primi anni Settanta gravitavano intorno alla Fondazione Cini e all’Istituto per le Lettere, il Teatro e la Musica (del Melodramma, dal 1985), tutti votati allo spettacolo lirico. Tra i chiostri dell’Isola di San Giorgio maggiore, a suon d’interventi e dibattiti appassionati, intrecciati in faccia a una capitale del teatro come Venezia, si era creatoun luogo di formazione consacrato all’interdisciplinarità, ideale dunque per futuri studiosi di teatro musicale, dove la dimensione scenica, grazie a lei, aveva finalmente conquistato il posto giusto negli studi di drammaturgia.
Come i veri studiosi di gran classe, Mercedes era anche un’eccellente divulgatrice, e in questa veste, a partire dal 1990 è stata la responsabile per le ricerche iconografiche delle Edizioni del Teatro alla Scala, riuscendo sempre a proporre una prospettiva di lettura delle opere che si davano nella sala del Piermarini partendo dalla visione. Nel frattempo continuava a fare ricerca e a scrivere, e lo prova la sua sterminata bibliografia, elencata in una Festschrift che le venne dedicata nel 2010, quando si avviava verso la novantina, mantenendo una lucidità che tutti le abbiamo sempre invidiato.3 La sua fine a novantacinque anni d’età, dopo gli ultimi, preziosi consigli che mi donò, come seppi dopo, dal letto d’ospedale, mi ha fatto finalmente capire bene le ragioni del profondo malessere di Boito di fronte alla morte di Giuseppe Verdi, visto che anch’io, come lui, «non mi sono mai sorpreso in un sentimento di odio contro la morte, e di disprezzo contro questa potenza misteriosa cieca, stupida, trionfante e vile. Ci voleva la morte di questa nonagenaria per destare in me questa impressione».
Estratto da «Studi pucciniani», 6, 2020